26.10.2014 www.lachiavedisophia.com
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“Io non voglio stima, fama e gloria.
Io voglio amore, entusiasmo, fuoco, vita.” [ dal film Il giovane favoloso ]
Parole che restano sospese nell’aria sempre più densa di un cinema. Il silenzio, divenuto pesante, le sostiene, le scandisce, donando loro una forza che mi blocca il respiro.
Elio Germano è lì, davanti a me, sullo schermo di quel cinema.
Leopardi è lì, sospeso nell’aria densa, accolto da quel silenzio.
Un genio precoce, un ribelle, un uomo solo con i suoi pensieri. Un uomo il cui tormento è impresso come una condanna nella fragilità del suo corpo, e parla alla parte più oscura della nostra anima con la profondità delle sue parole e dei suoi silenzi. I versi sono l’unica via di fuga per i suoi pensieri ribelli. Più sente vivo il suo tormento più scrive, e più scrive più questo tormento cresce, e con esso il bisogno di affermare le sue idee pagate con la solitudine. Leopardi canta una sofferenza che trasuda vita, una sofferenza che cerca la verità dell’esistenza, consapevole che una verità assoluta non c’è. C’è solo la tensione che spinge l’uomo a cercarla.
La tensione profonda, incessante, logorante che cresce dentro di lui: questa è la sua grandezza. Le sue parole non sono altro che una voce prestata al suo tormento, dove l’amore, l’entusiasmo, il fuoco, la vita spingono violentemente per venire alla luce. E in questa spinta c’è la consapevolezza che la libertà e la forza, che animano questi sentimenti, debbano scontrarsi con la finitezza e la precarietà del corpo nella sua permanenza nel mondo.
“Ciò che è nel mondo e che nasce da esso deve finire e morire. Ma ciò che non è di questo mondo e che non vuole esserne parte, lo attraversa facendolo vibrare con tutta la forza di un lampo che balena nella volta celeste, e che non conosce né tempo né morte.” [ Schopenhauer ]
Per una strana coincidenza, per reminiscenze passate, o forse per entrambe, mi ritrovo tra le mani questo libricino giallo e ruvido che non apro da un pò di tempo: Il nulla della vita di Schopenhauer.
Tra le parole del filosofo tedesco rivedo quella contraddizione, propria dell’essere umano, che nel Leopardi disincantato e ribelle pesa come un macigno. Schopenhauer recupera la differenza kantiana tra fenomeno e cosa in sé, identificando quest’ultima con la volontà di vivere libera e irrazionale, che è l’essenza autentica dell’uomo, non soggetta né allo spazio né al tempo. Seguendo il pensiero del filosofo, gli uomini che arriveranno a conoscere quella che nel profondo è la loro essenza, vivranno una vita autentica senza temerne la fine. Perché se la morte determina la fine dell’individuo, questa non intacca quella che è la sua vera essenza, ossia la volontà, che con la morte del singolo ritorna alla sua condizione originaria.
Il film “Il giovane favoloso” traduce in carne questa volontà, la volontà di vivere di un uomo che attraverso la poesia esplora tormenti e contraddizioni dell’essere umano. Seguire Leopardi in questo viaggio è camminare in punta di piedi dentro la nostra tensione più intima alla ricerca della nostra essenza.
Ascoltare questa tensione non è una scelta ma un’inevitabile condanna che porta malinconia, inquietudine e solitudine. La tensione è troppo rumorosa per essere ignorata e solo quando le sarà data una voce, quando le sarà concessa una via di fuga, questa, oltre al dolore, ci porterà la vita. La vita come respiro, ampio, profondo, talmente profondo da farci cadere negli abissi più neri per poi farci risalire verso una dimensione infinita. Una vita fatta di dubbi, contraddizioni, malinconie, inquietudini. Una vita fatta di illusioni, poesia, curiosità, stupore e meraviglia.
Perché “non vivono fino alla morte se non quei molti che restano fanciulli tutta la vita”. [ Leopardi ]
Allora è proprio questa tensione, con tutte le sue sfumature, la chiave per liberarci dalla condanna di un’esistenza sterile, fatta di ruoli e maschere; un’esistenza in cui il bisogno di affidarsi a una verità è più forte dell’impulso di liberare le nostre tensioni e vivere il rischio che la nostra essenza autentica richiede per prendere il volo.
La vita piena è la vita dell’anima; è il respiro ampio che riusciamo a dare alla nostra anima quando sentiamo salire le vertigini e ci abbandoniamo al vuoto rinunciando ad ogni pretesa di certezza, abbandonando le ripetizioni e l’immobilità.
La vita piena è aprirsi completamente per far entrare dentro anche il più piccolo respiro del mondo, perché ciò che possiamo contenere è infinito.
E’ svegliarsi nel cuore della notte perché il rumore dei nostri pensieri è troppo forte, ed è rimanere svegli tutta la notte perché non possiamo rimandare e dobbiamo scrivere questi pensieri.
E’ rimanere immobili a contemplare un dettaglio e assorbirne tutta la bellezza per restituirla al mondo sotto altra forma.
E’ guardare la scena di un film, leggere il passo di un libro, ascoltare una melodia, contemplare un’opera d’arte, e lasciare che le parole, le immagini e i suoni ti entrino dentro fino ad arrivare al punto di non capire più chi sei tu e chi è l’attore, qual è la tua vita e qual è la vita raccontata tra le pagine, qual è la vibrazione della tua anima e quali sono le note che vibrano nell’aria, qual è la tua immagine del mondo e qual è l’immagine dipinta sulla tela.
Tutto questo, ogni momento, ogni dettaglio, ogni sfumatura, è un passo verso la conoscenza profonda di noi stessi e verso la libertà. E mano a mano che avanziamo, non abbiamo più bisogno di distinguere l’io dal resto del mondo, l’anima dal corpo, ciò che definiamo reale da ciò che confiniamo nella nostra immaginazione, la gioia dal dolore, il bene dal male: fa tutto parte dello stesso grande respiro, dove la tensione che sentiamo è quella vertigine che ci fa volare.